Maria ci racconta la sua esperienza di commessa senza contratto
“Nessun controllo nei sei mesi di lavoro in nero”
Per molti italiani trovare un’occupazione è quasi un’impresa colossale: ci sono poche possibilità che si offrono a un ragazzo che si affaccia al mondo del lavoro e la scelta è tra la precarietà e un lavoro irregolare. Sembra poi che la precarietà con i suoi contratti a tempo determinato sia un colpo di fortuna se confrontata con la vita che si prospetta a un giovane lavoratore in nero senza contributi. In base ai dati dell’Istat il lavoro irregolare in Italia riporta una media nazionale del 15% con notevoli variazioni a livello regionale. In quattro regioni del Nord la percentuale oscilla tra il 10% e il 13%, mentre in sei regioni del Sud supera il 20%, sfiorando in Calabria il 30%; il lavoro irregolare sarebbe perciò tra il 7% e il 19% del volume totale dell’occupazione. Non sono soltanto i dati a parlare chiaro e a descrivere dettagliatamente quella che è la situazione italiana, ma sono soprattutto le nostre esperienze personali a mostrarci questo quadro allarmante. Quando si parla di lavoro nero si pensa subito che i casi riguardino per primi gli stranieri e soprattutto settori edili, industriali o agricoli; in realtà le radici del problema sono radicate anche in altri ambiti lavorativi e interessano anche noi giovani studenti. Ci sono infatti dei casi di ragazzi, la maggior parte dei quali studenti universitari, che dopo aver consegnato curricula personali presso negozi della zona sud di Roma situati in centri commerciali, vengono contattati dal responsabile che ricerca addetti alle vendite nei weekend; normalmente viene chiesto all’interessato di svolgere delle giornate di prova remunerate presso il negozio e se si ha attitudine nello svolgere bene il proprio lavoro, si viene “assunti”. “Assunto” però non è forse il termine corretto, perché presumerebbe la firma di un contratto e di conseguenza delle malattie, delle ferie e soprattutto dei contributi per una futura pensione; in realtà si avrà la grande opportunità di lavorare nei prossimi weekend a 5 € l’ora per un numero complessivo di ore che oscilla tra le 16 e le 20. Recentemente ho parlato con una ragazza, Maria, che ha lavorato in nero come commessa per circa sei mesi quasi tutti i giorni in un negozio di abbigliamento in un centro commerciale, prima di vedersi riconosciuto un contratto regolare. Mi dice che ora è stata messa in regola ma potrà avere solo pochi giorni di ferie in estate perché non ne è riuscita a maturare un numero superiore, dal momento che i precedenti sei mesi in cui ha svolto il suo lavoro, non sono stati considerati dal proprietario del negozio. Il problema fondamentale è che in tutto il periodo in cui Maria ha lavorato, non c’è stata alcuna ispezione da parte della polizia o degli uffici fiscali; se solo ci fossero maggiori controlli i proprietari dei negozi non lascerebbero nell’illegalità i loro dipendenti.
Valentina Verdini
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1 commento:
il problema del lavoro a nero o lavoro soppresso chiamiamolo come vogliamo è una delle piage più grandi dell'Italia, colpisce soprattutto i giovani che iniziano le loro prime esperienze lavorative. Molto spesso la storia è sempre la stessa, una promessa di un contratto che invece non arriva mai, un continuo rimandare. Capita che nel momento in cui invece ci sembra essere vicino il fatidico momento della famosa messa in regola, il datore di lavoro si presenta con uno di quei contratti assurdi detti a progetto o ancora più ridicolo di cooperativa. Il problema vero è che la legge consente queste cose e giustamente il datore di lavoro specie se privato, facendosi due conti capisce che gli conviene di più tenere una persona con un contratto particolare (dove magari non sono previste ferie, malattie o tredicesime varie..) piuttosto che aggravarsi sulle proprie spalle un contratto regolare che prevede il versamento dei contribbuti all' INPS. Questa filosofia non è molto complessa nel suo insieme ed è per altro molto diffusa. Per quel che riguarda i controlli, è vero dovrebbero essere più severi e più frequenti, perchè non si gioca con la vita dei giovani lavoratori che non possono neanche farsi un futuro, e tanto vero però che in Italia siamo il paese del condono, dell'evasione fiscale.... quindi abbiamo molte difficoltà in questo campo e continuiamo ad essere il paese dei "furbetti". Riguardo a ciò voglio esprimere solo una cosa: lo stato non tutela i suoi giovani; a partire dall'ambito universitario con le borse di studio che vengono date troppo spesso senza criterio, credo che le borse di studio debbano essere date solamente ai più meritevoli, incentivare le persone brave e capaci, bisogna rivedere il criterio con cui vengono assegnate. Il lavoro è una conseguenza della mentalità statale che protegge la fascia debole (com'è giusto che sia) ma non tiene conto della fascia così detta dei meritevoli, come tutti sappiamo le borse di studio vengono date solo per reddito... quindi in un paese dove esiste un precariato tra i più alti d'Europa (se non il più alto) dove non vi è un criterio logico di aiuti e incentivi, dove l'evasione fiscale è una piaga secolare e dove è permesso il falso in bilancio ( che il governo Berlusconi tolse come reato...) credo l'unico modo per evitare queste spiacevoli sitauzioni sia quello di fare nuove riforme del lavoro e dell'istruzione, leggi rigide e non scavalcabili con stupidi giochetti.
Simone
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